L’approvazione dell’Agenda 2030 sottoscritta nel settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri dell’ONU, ha rappresentato un’ulteriore evoluzione verso un approccio combinato, in cui tutti gli obiettivi tengono conto degli aspetti economici, sociali e ambientali e sono concepiti come inscindibili, pensati in modo da interagire per porre fine alla povertà, per restituire la dignità alle persone e al contempo per preservare la natura e l’ambiente, rispondendo ai bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i loro bisogni. In particolare l’attenzione posta dal Piano nel “Rafforzare le capacità adattive e la risposta della popolazione e del sistema sanitario nei confronti dei rischi per la salute, associati ai cambiamenti climatici e agli eventi estremi e alle catastrofi naturali e promuovere misure di mitigazione con co-benefit per la salute” risultano essere in forte sintonia con gli avvenimenti che avvengono di frequente (esondazioni, allagamenti, frane, etc.) Dobbiamo sviluppare strategie preventive per la riduzione degli impatti diretti e indiretti legati al Climate Change (CC) e in questo il Sistema Paese deve trovare una risposta che vede il coinvolgimento di tutti, implementando sistemi integrati di previsione del rischio per la salute associato a eventi estremi, di monitoraggio ambientale e sorveglianza rapida ambientale e sanitaria (Early warning system).
I LEA, il PNP, il Patto della salute possono essere strumenti utili per intensi care interventi speci ci e mirati e assicurare alle persone, animali e ambiente, la tutela della salute. Compito del sistema sanitario è anche quello di aumentare la consapevolezza dei problemi ambientali e delle loro conseguenze sulla salute, di promuovere stili di vita ecosostenibili e attivare una sorveglianza sulle attività produttiva per favorire una riconversione eco-sostenibile. Purtroppo dagli incontri che contano, non arrivano buone notizie. Nonostante i tempi supplementari, La Cop25 a Madrid si è chiusa senza un’intesa sull’articolo 6 dell’Accordo di Parigi che riguarda la regolazione globale del mercato del carbonio, il nodo più difficile da sciogliere. Se ne dovrebbe riparlare a Bonn nel giugno 2020. L’unico punto positivo, l’obbligo per i Paesi ricchi di indicare di quanto aumenteranno gli impegni per tagliare i gas serra. Hanno vinto i Paesi vulnerabili (quelli che rischiano di sparire come le piccole isole del Paci co) rispetto a quelli ricchi: cioè, entro l’anno prossimo questi ultimi dovranno indicare (sarà un obbligo e non un’opzione) di quanto aumenteranno gli impegni per tagliare i gas serra. Purtroppo al summit, pochi passi in avanti sono stati fatti sulla revisione del sistema di aiuti (Warsaw International Mechanism for Loss and Damage – WIM) per le comunità dei paesi poveri colpite da disastri climatici. Nessun impegno chiaro dei Paesi industrializzati a mettere a disposizione di queste comunità le risorse necessarie (almeno 50 miliardi di dollari entro il 2022) per una rapida ricostruzione e ripresa economica dei territori colpiti, evitando così anche il preoccupante aumento dei profughi climatici. Il 2020, quindi, si prospetta cruciale per salvare l’accordo di Parigi. Il 2020, alla luce anche dell’emergenza sanitaria che stiamo vivendo, sarà un anno importante per cercare e trovare la svolta ecosostenibile, necessaria per la salute umana e animale, per il mondo, i territori e la loro salvaguardia. Ognuno di noi dovrà recitare la propria parte, ognuno di potrà contribuire con i propri saperi.
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