di Marina Giglio e Cristina Siragusa – Dirigenti veterinari Asl Napoli 2 Nord
La richiesta di scrivere un articolo sul ruolo del Dipartimento di prevenzione nell’attuale situazione emergenziale ci è risultata indigesta sin dal primo momento. Scrivere, ancora scrivere, invece di fare. Nella miriade di messaggi, post e dichiarazioni che si incrociano in questo periodo nei social in ambiente veterinario, nonché nelle conversazioni telefoniche o a distanza sociale minima consentita tra colleghi meno internauti, si colgono innumerevoli e contrastanti stati d’animo: incertezza sul ruolo, desiderio di fare qualcosa di più operativo e inerente l’emergenza, indignazione per la mancanza di DPI e linee guida, paura per sé e per i propri familiari. Si prova quasi un senso di vergogna nell’uscire da casa per andare a fare qualcosa che a noi per primi non pare effettivamente indispensabile o indifferibile, ma c’è anche la paura di minare il riconoscimento del ruolo del medico veterinario. Qualcuno addirittura teme: “ma non è che poi iniziano a pensare che non serviamo?”, confondendo la differibilità in un momento emergenziale con …l’inutilità. E quindi si continua a “fare”, a tutti i costi. Per dirla in due parole, ci si barcamena tra etica professionale e disorientamento emotivo. Ma, lasciando da parte questo lato emotivo e cercando di azionalizzare, ci si rende conto che fondamentalmente il problema di chi non è in prima linea è di chiedersi se l’attività che sta svolgendo o alla quale è chiamato rientra nelle generiche definizioni di servizi veterinari essenziali o no. Anche l’OIE ha invitato con forza i governi di tutto il mondo a considerare il ruolo e le responsabilità della professione veterinaria e a tener conto del loro “adattamento” nell’emergenza in corso. Ma il vizio forse è proprio nel “pensare veterinario” invece che da operatore del Dipartimento di prevenzione, attore di Sanità pubblica. Dovrebbe essere ormai assodato che la medicina unica rappresenti l’approccio metodologico strutturale di integrazione delle competenze mediche e veterinarie ai bisogni di salute della collettività e di tutela del territorio. Da numerosi studi scientifici emerge infatti che l’efficacia di interventi di sanità pubblica con un’impostazione trasversale è significativamente maggiore. La medicina delle catastrofi deve essere considerata una materia pluridisciplinare, da studiare attentamente e da pianificare preventivamente, anche con esercitazioni pratiche, così da ottenere una perfetta funzionalità strategico – tattico – logistica che consenta un efficace soccorso. Inoltre abbiamo appreso che, nel calcolo della gravità di un evento, i fattori che incidono sono non solo il rapporto tra il numero dei soggetti/strutture coinvolti e le risorse disponibili, ma anche la durata dell’evento e la capacità di resilienza della comunità; indipendentemente dalla natura dell’evento catastrofico, sia esso da cause naturali, tecnologiche, belliche o sociali, comprese le conseguenze di un’epidemia umana (sia essa dovuta a bioterrorismo o a origine naturale), gli effetti sulla comunità diventano complessi se si arriva ad una compromissione dell’organizzazione sociale e se la durata dell’evento e l’estensione geografica aumentano progressivamente. Alcuni di tali effetti sono riconosciuti come campi specifici nei quali i Servizi veterinari svolgono un ruolo essenziale, quali: garanzie sanitarie a supporto della sicurezza dell’approvvigionamento alimentare e della continuità produttiva, garanzia di igiene e salute pubblica nello smaltimento di spoglie animali e SOA, assicurazione degli aspetti legati alla salute e al benessere degli animali da reddito e d’affezione. A tal proposito, abbiamo ritenuto utile un’iniziale analisi dei possibili effetti da considerare e delle eventuali azioni da intraprendere, che è raccolta nella Tabella 1. Ovviamente questo vuole essere uno spunto per una più accurata disamina, con la collaborazione di esperti di ciascun settore, di tutti gli aspetti che potranno presentarsi anche in considerazione di uno sviluppo dinamico di scenari che, per le conseguenze sociali ed economiche della pandemia da Covid – 19, potranno presentarsi. D’altra parte la risposta di medicina unica in situazioni di grandi emergenze, inserita nel sistema complesso di Protezione Civile e sperimentata per la prima volta nel 1980 in occasione del terremoto dell’Irpinia, fu oggetto già all’epoca di pubblicazione da parte dell’OMS sotto forma di una linea guida delle attività veterinarie nelle emergenze; ha poi costituito spunto nel 1992 per indicazioni del Ministero della Sanità – Direzione Generale Servizi Veterinari, che delineavano la necessità di un’organizzazione territoriale in grado di far fronte a calamità o ad emergenze locali. Successivamente furono emanante le linee-guida per l’azione veterinaria nelle emergenze non epidemiche e, con D.M. del 13 febbraio 2001 furono inserite “Funzione di supporto n. 2 – Sanità umana e veterinaria e assistenza sociale”, i seguenti interventi di sanità pubblica propri dei Dipartimenti di Prevenzione:
- vigilanza igienico-sanitaria;
- controlli sulle acque potabili fino al ripristino della rete degli acquedotti;
- disinfezione e disinfestazione;
- controllo degli alimenti e distruzione e smaltimento degli alimenti avariati;
- profilassi delle malattie infettive e parassitarie;
- problematiche di natura igienico-sanitaria derivanti da attività produttive e da discariche abusive;
- smaltimento dei rifiuti speciali;
- verifica e ripristino delle attività produttive;
- problematiche veterinarie.
Anche nei LEA, che, già dal 2008 e con più forza nel 2017, comprendono le attività relative alla gestione delle emergenze da fenomeni naturali o provocati, traspare una visione multidisciplinare e di collegamento con le altre istituzioni coinvolte (Sistema complesso di Protezione Civile) per dare una risposta ad un evento avverso pronta, unitaria e in sintonia con il sistema, mediante la partecipazione alla gestione delle emergenze, alla predisposizione di piani e protocolli operativi in accordo con altre istituzioni coinvolte nonché nella comunicazione alla popolazione e alle istituzioni in merito alle ricadute sulla salute. Ma oggi, l’esperienza maturata a livello dei Dipartimenti di prevenzione a seguito dell’inserimento nel Piano Nazionale della Prevenzione delle attività attinenti alla gestione, sebbene riportate in distinti obiettivi afferenti a distinti servizi o direzioni, ha messo in evidenza la necessità di sviluppare un unico indirizzo con un’unica cabina di regia. La più che abusata espressione “One health” ricorre in tutti i convegni, gli articoli, le interviste. Eppure, alla resa dei conti, sembra che, soprattutto a livello nazionale ma anche in alcune realtà locali, ci si dimentichi di quanto possa essere fatto “insieme”. Se si digita “risposta alle emergenze” sul “cerca” del sito del Ministero della Sanità, la prima pagina proposta è quella della Sanità animale, con tutti i riferimenti al Piano nazionale emergenze e ai singoli manuali operativi per le varie malattie infettive. Questo a riprova della “preparedness” che in campo veterinario esiste, per scelte comunitarie e nazionali in questo settore. Eppure questa competenza sembra non essere considerata in questo momento. Crediamo anche che il concetto di “adattamento” della professionalità veterinaria debba in questo momento comprendere sia una maggiore interscambiabilità tra i Servizi, preparando, magari, anche i veterinari che non operano sul diretto controllo degli alimenti di origine animale ad intervenire ove mai dovessero presentarsi carenze in quel settore, ma anche, perché no, l’utilizzo delle competenze nel campo delle indagini epidemiologiche dei veterinari di Sanità animale a supporto dei Servizi Epidemiologia dei Dipartimenti di prevenzione. Auspichiamo che esperienze in tal senso, al momento della pubblicazione di questo articolo, possano essere già state avviate e concludiamo con alcune massime, apprese da chi mastica da sempre questi temi, che dovrebbero sempre ispirare il nostro operato nelle emergenze: “In una maxiemergenza la difficoltà nella gestione dell’emotività è la cosa che accomuna maggiormente vittime e soccorritori” “Non si nasce resilienti, lo si diventa” (I legge della resilienza).
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